La protesta nazionale di 60.000 artigiani e commercianti
«Matteo stai preoccupato. Non ci faremo più portare via il nostro futuro».
Sono arrivati in 60 mila a Roma il 18 febbraio per la manifestazione nazionale organizzata da Rete Imprese Italia (la sigla che raggruppa le associazioni Confartigianato, Casartigiani, CNA, Confcommercio e Confesercenti) per chiedere allo Stato «meno tasse e meno burocrazia». Migliaia di artigiani, commercianti e piccoli imprenditori di tutta Italia hanno riempito piazza del Popolo a Roma con un messaggio diretto al nuovo presidente del consiglio, lanciato dal presidente nazionale di Confartigianato Giorgio Merletti (nella foto in basso): «Matteo stai preoccupato. Non ci faremo più portare via il nostro futuro». Migliaia di bandiere con i colori delle varie associazioni, fischietti e tamburi hanno animato la protesta di artigiani e commercianti arrivati da tutta Italia con 400 pullman, 7.000 posti in treno e 2.000 in aereo per «chiedere con forza una svolta concreta nella politica economica del Paese». Da Taranto una delegazione di artigiani, guidata dal Presidente provinciale di Confartigianato Domenico D'Amico e dal Segretario Fabio Paolillo, che hanno creduto con forza nell'impegno di esserci e portare la voce degli imprenditori ionici.
"Siamo partiti quando ancora era buio, erano le ore una della notte, per riempire piazza del Popolo. Sono stati più di 100 gli artigiani, gli esercenti e i commercianti della nostra provincia che hanno voluto protestare. Il cuore della piccola impresa, un nucleo forte della nostra società che fino a una manciata di anni fa stava bene, ha detto un no chiaro e tondo alla politica economica del Governo. E poco importa che non ci sia più Letta e ci sia Renzi: slogan e invettive sono stati distribuiti a piene mani ai protagonisti della politica del Belpaese. Il popolo delle partite Iva ce l'ha con il peso delle tasse considerato eccessivo, ma soprattutto vede come fumo negli occhi i vincoli della burocrazia".
E in piazza del Popolo i manifestanti si sono fatti sentire: slogan, invettive, striscioni, volantini. I tarantini hanno manifestato la rabbia che cova sotto le giacche ed i pullover (nella capitale ieri c'erano già più di 20
gradi, alla faccia dell'inverno). La rabbia c'è tutta e si sente, come la preoccupazione per come vanno le cose e per un futuro che nessuno, al momento, vede roseo.
Gli artigiani c'erano, abbacchiati, certamente, ma decisi a tenere duro.
"Rappresentiamo gran parte del tessuto produttivo ma spesso non ci ascoltano. Non vogliamo polemiche, puntiamo a proposte e soluzioni. Confidiamo nel nuovo presidente del Consiglio, noi la buona volontà ce l'abbiamo ma il tempo è scaduto: vogliamo fatti in pochi giorni.
Se non si muovono in fretta ci muoveremo noi.
Speriamo che questa protesta sia valida, ne valeva la pena essere a Roma. Qualcosa di positivo dovrà pur venire fuori, chi ci governa deve prendere in mano la situazione. Siamo tanto preoccupati per il domani dell'Italia. I politici sono i primi responsabili della crisi, tocca a loro rimediare."
Il ritorno: Il tempo di un panino e una birra poi è già tempo del rompete le righe, la folla scivola via in fretta, qualcuno urla e impreca, ma è tutto tranquillo davanti al cordone delle forze di sicurezza.
I tarantini devono tornare a casa in fretta, senza concedersi il minimo sindacale di turismo tra chiese, fontane e palazzi. Le aziende non aspettano. E non stanno neanche tanto bene.
I NUMERI DELLA CRISI: negli ultimi 5 anni hanno chiuso circa 1.000 aziende ogni giorno, la ricchezza prodotta è diminuita del 9%, la disoccupazione è raddoppiata, passando dal 6,4% al 12,7% per un totale di 1,2 milioni di disoccupati in più. Nel frattempo la pressione fiscale ha raggiunto il 44,3% del Pil (e resterà sopra il 44% per molto tempo) mentre quella «legale» (su ogni euro di Pil dichiarato) si aggira intorno al 54%. Inoltre la burocrazia costa alle Pmi 30 miliardi di euro l'anno e il credito è in calo dal 2011.